A San Quirico d’Orcia, all’interno della Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta si trovano gli stalli del coro ligneo di Antonio Barili.
L’opera risale a un periodo compreso tra il 1483 e il 1504.
In origine i pannelli erano diciannove, tutti finemente decorati e realizzati per la Cappella di San Giovanni Battista del Duomo di Siena.
Dal 1600 in poi le tarsie vennero smontate a causa del deterioramento dovuto all’umidità.
Nel 1664 il Marchese Flavio Chigi acquistò i pannelli meglio conservati e nel 1979 furono sistemati all’interno della Collegiata; disposti dietro l’altare maggiore rimontati in un ordine che tuttavia non rispecchia quello antico.
Sono sette le tarsie che si trovano a San Quirico d’Orcia, mentre una recante l’autoritratto dell’autore si trova nel Museo dell’Arte Artigianale di Vienna, purtroppo le altre sono andate perse.
La descrizione che abbiamo dell’opera ci è stata lasciata alla fine del 1600 dallo studioso Alfonso Landi, oggi conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Siena.
La scultura lignea si ripete uguale in ogni pannello. Ogni tarsia è racchiusa da due colonnette
scanalate con capitello corinzio a fogliame, e due delfini. Più in alto è un altro capitello sul quale fu scolpito un braciere con splendida fiamma. Alcune cornici recano roselle, uccelli, fogliame. Un vaso in centro pieno di frutta, di foglie, e con due spighe di grano pendenti ai lati, una cornucopia, simbolo dell’abbondanza. Colpisce l’occhio un animale alato, con il corpo di cavallo, rivestito di penne, la testa di bufalo e una collana pendente dal collo.
Dagli scritti di Landi, (fine del 1600).
Partendo da sinistra, nel primo compare “una porta maestosa, dalla quale si vede un giardino, e entrovi compariscono arbori diversi con frutti pendenti, e a basso vi è un tavolino, nel quale vi è un calamaio con penna, e un temparino, con una cartella, che esce dal detto calamaro con queste parole: «Alberto Aringheri Operaio fabre fatcum»”.
Il secondo è quello dove “vi è rappresentata santa Caterina (di Alessandria) delle ruote fino a’ fianchi, con le ruote sotto, disputante col tiranno”. In basso, la sintesi di un’iscrizione abbastanza consunta, in lingua latina, dice: “Santa Caterina con la Palma della Verginità riportò anche quella del Martirio”.
Nel terzo troviamo “un uomo fino al fianco, che suona un liuto”, e “sopra ad esso uomo apparisce un giardino con diversi arbori”. Il quarto è un non meglio specificato santo “con volto e braccia destra alzati al cielo” (oggi sappiamo si tratta di Sant’EmidioVescovo, protettore del terremoto. é una forte figura rinascimentale ispirata a sublime misticismo).
Il quinto rappresenta “un corpo di organi con un uomo che con faccia alzata sta godendo della dolcezza del suono, e nel fianco dell’organo v’è l’arme (stemma) dell’Opera (del Duomo), e sotto a essa v’è l’arme del rettore Aringhieri”.
Nel sesto ecco “una figura di un giovane con cartella di sotto dicente «Joannis Baptiste discipulus». Fa presumere si tratti di S. Andrea Apostolo che del Battista era il discepolo per antonomasia.
Infine, il settimo sembra un moderno lavoro metafisico, attribuibile magari a De Chirico o a Morandi. Invece è “un armario aperto, dentro al quale si vedono e sono intagliati molti strumenti da legnaiuoli e da architetti”, qui l’autore ha esposto gli strumenti usati per la realizzazione dell’opera.
A lavoro ultimato, sotto l’autoritratto che è conservato a Vienna, il Barili scrisse:”hoc ego antonius barili opus coelio non penicillo exculsi a.d. mdii. Antonio di Neri Barili 1482-1502”
Il coro del Barili è un’opera straordinaria per diversi aspetti, a cominciare da quelli più spiccatamente documentari: due dei pannelli ci consentono infatti di conoscere più da vicino il mestiere dell’intagliatore, di cui vediamo gli strumenti nel pannello con l’armadio. Ma anche sul piano stilistico, si nota una grande maestria. Infatti la ricerca della terza dimensione, con finestre che si aprono sui personaggi, l’eccezionale chiaroscuro dei panneggi ottenuto tramite accostamenti di piccole porzioni di legno di diverse tonalità, le sottili incisioni che ricreano riccioli e ciocche di capelli sono tutti dettagli che rendono evidenti le doti quasi virtuosistiche di Antonio Barili.
E fu merito del coro del Barili se il giovane Federico Zeri decise di intraprendere il percorso che lo avrebbe reso uno dei più grandi studiosi di storia dell’arte di sempre. “Accanto al palazzo dove noi dormivamo sulla paglia, per terra” (durante il secondo conflitto mondiale, nel 1941, era infatti “ospitato” a Palazzo Chigi Zondadari), ha raccontato lo studioso ai microfoni di un documentario della RAI, “c’era la Collegiata di San Quirico d’Orcia. E lì io vidi un’opera d’arte che mi sconvolse, e che c’è ancora, per fortuna. Sono gli intarsi del coro eseguito per il Duomo di Siena dal Barili, e che poi, smontato, fu disperso, e mi sembra che sette pezzi stanno oggi a San Quirico d’Orcia”.
Approfondimento: da Finestre sull’Arte, 17/01/2018, Gli intarsi di San Quirico d’Orcia che cambiarono la vita di Federico Zeri e lo resero uno storico dell’arte